EXILIUS

Paolo visita i Saharawis




From: norby53@hotmail.com
To: cattapa@hotmail.com
Subject: Re: ritornato
Date: Sun, 11 Jan 2009 12:04:29 -0200

hola paolo
me da alegría recibir noticias tuyas a pesar de que las noticias no sean buenas, es triste, desalentador lo que me contás
te voy a pedir que me permitas publicarlo en mi blog, me parece un modo de comunicar una historia que las personas tienen que conocer, a falta de tener medios más eficaces por lo menos poder llegar a algunos amigos con los cuales es posible compartir lo bueno y lo no tan bueno
también se lo voy a enviar a Erika con la que espero podamos hacer el espectáculo que al menos haga saber, sensibilice y haga pensar sobre este tipo de injusticias, no es una pretensión, es simplemente intentar hacer algo a pesar de uno sentirse tan débil...
espero que el frío italiano no te trate demasiado mal, acá el calor es algo que se soporta con alegría
un abrazo
norberto



From: Paolo Cattaneo
Sent: Saturday, January 10, 2009 3:41 PM
To: Norberto Presta
Subject: ritornato


ciao Norby
eccomi rientrato a casa, un viaggio tutto sommato molto rapido anche se ogni volta intenso.
ritornare ai campi, anche dopo una relativamente lunga assenza, (2 anni) è per me ritornare in un posto conosciuto, in cui mi ritrovo a mio agio, in cui non mi sento "straniero" per quanto ogni volta sia diverso. la continua frequentazione permette un distacco dagli aspetti più fortemente emotivi, quelli del primo approccio, per trovare un buon rapporto tra il razionale e l'emotivo.
a proposito di emotivo è stato molto forte l'incontro con un amico, Abdi, la sera prima aveva avuto notizie dalla televisione degli attacchi aeri su Gaza, io non sapevo ancora nulla. ho scoperto, vissuto in prima persona, che a seconda di chi ti racconta "i fatti" la percezione è molto diversa, anche in funzione di come quella persona sta vivendo la situazione e le notizie. loro l' si trovano in una condizione politica che per quanto diversa e meno sotto l'occhio della stampa internazionale è molto simile e vicina a quela dei palestinesi. è il punto di vista degli sconfitti, dei perdenti, degli ignorati dalla storia e dagli interessi mondiali e globalizzati. ( l'ONU spende 45.000 euro per mantenere una missione di controllo del cessate il fuoco, poche persone che vivono nel massimo dei confort. la stessa ONU non riesce a trovare più i 25,000 euro per sfamare i rifugiati nei campi, molti molti di più dei funzionari della MINURSO)

la gente ai campi è stanca ha perso fiducia nelle istituzioni internazionali e in buona parte ha perso fiducia anche nello stesso suo governo.
ora da una parte cerca soluzioni private, ognuno per salvare se stesso e la propria famiglia, dall'altra parte non vede soluzioni e molti giovani sarebbero anche disposti a ritornare ad imbracciare le armi.
forse i sarawi hanno perso la loro lotta
quel che è peggio che tutti noi abbiamo perso una grande opportunità, per quelo che quei pochi nomadi del deserto erano riusciti a costruire in un luogo tra i più inospitali del mondo.

spero di riuscire a scrivere qualcosa,un po' di pensieri di riflessioni da mandarti prossimamente.
per ora un forte abbraccio
a te e agli amici
paolo
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Una Storia Saharawi
DA SMARA A SMARA
di Paolo Cattaneo

Da oltre un anno lo stavano progettando.
Sono partiti in due. In verità all’inizio c’era anche un terzo amico, ma poi hanno dovuto sconsigliarlo nel proseguire nel programma perché … un po’ troppo grasso e quindi oltre ad essere tale condizione un impedimento per se stesso poteva portare al possibile fallimento tutti e tre.
Entrambi di 16 anni Salek e Jaha, abitano a Smara, la città dei territori occupati, quella che da il nome all’altra città dei campi per rifugiati.
L’uno vive con padre, madre e vari fratelli. La famiglia si mantiene con una piccola pensione del padre. L’altro vive con padre, madre e vari fratelli. L’economia familiare viene garantita da entrate sporadiche che derivano da lavori in nero e precari.
La loro quotidianità è divisa tra la scuola e la contraddizione di vivere nel loro Paese, occupato da oltre trent’anni da forze straniere. Loro stessi, i loro familiari, gli amici, i vicini, tutti sono continuamente controllati a vista da militari e poliziotti travestiti da taxisti, giornalai, vicini di casa.
Dopo la scuola del mattino, un po’ di riposo e alla sera le manifestazioni. Quotidiane a partire dal maggio del 2005. Le manifestazioni sono fatte di cortei, assembramenti per la strada, scritte sui muri inneggianti alla libertà, esposizione della bandiera del Sahara Occidentale. Ognuna di queste azioni e sufficiente per scatenare la repressione immediata. Cariche di polizia con manganellate annesse. Poi si prosegue con arresti arbitrari, incarcerazione, torture e, in taluni ma non rari casi, anche sparizioni di persone. Le vittime sono scelte molto “democraticamente” senza distinzione di genere (sesso) e di età.
Anche Jaha ha fatto l’esperienza di essere fermato e arrestato e dei successivi interrogatori da parte di poliziotti autoritari e arroganti.
Salek nelle fughe è sempre più veloce e non sono mai riusciti a prenderlo.
Nel fine settimana la scuola è chiusa e loro chiedono il permesso ai genitori per fare una vacanza nel deserto. Portano con se un po’ di farina per fare il pane da cucinare nel forno improvvisato sotto la sabbia e, da bravi sahrawi, tutto il necessaire per il tè.
Per un anno ripetono queste uscite nel deserto, ogni volta esplorando nuovi territori. Per loro il deserto sono gli ampi spazi, l’orizzonte lontano, il cielo blu. Qui l’aria che respirano entra direttamente nelle arterie, nella linfa che scorre nel loro corpo e li fa rinascere ogni volta nomadi come lo erano i loro nonni e i nonni dei loro nonni e via via scorrendo all’indietro nel tempo. È in questi spazi e in questa dimensione che il sahrawi recupera appieno la sua dignità, la sua vita, la sua libertà.
Ma la vera libertà per Salek e Jaha è ad Est oltre il muro, le mine e i militari. Molto, molto lontano. Il sogno per ogni giovane sahrawi.
I sahrawi, però, non hanno timore dei sogni.
L’anno sta per finire, nell’estate appena terminata c’erano state abbondanti piogge e il deserto si era ricoperto di una peluria verde. Ancora il caldo si fa sentire durante il giorno ma non è più il forno di agosto. Di notte comincia a fare freddo ma forse ancora sopportabile.
Arriva il fine settimana e, ottenuto il permesso da parte dei genitori, ancora una volta Salek e Jaha partono per il deserto.
Questa volta però …. La storia sarà diversa. Questa volta non ci sarà ritorno. Questa volta la strada porta dritta al tanto desiderato Est. Li dove il Fronte Polisario nel lontano 1976 aveva portato in salvo molti sahrawi e dove è stata proclamata la Repubblica Arabo Saharawi Democratica, RASD. Questo voleva significare andare lontano dai marocchini, dai pestaggi, dalle angherie, dai maltrattamenti quotidiani.
Altresì lontano dalla famiglia, dai genitori, dai fratelli e dalle sorelle, dagli amici.
Come al solito partono con un po’ di farina, e il necessario per il tè, l’accendino. Hanno con se i vestiti che indossano. Ai piedi Salek ha un paio di scarpe leggere da ginnastica, Jaha un paio di ciabatte. Davanti a loro 150 km di sabbia, un muro alto dai due ai tre metri, lungo 2400 km, con 150.000 soldati marocchini ben armati dispiegati lungo tutto il muro. Al di là di questo 9 milioni di mine antiuomo.
La strada è lì fuori, dove l’hanno cercata e preparata tante volte.
Il primo giorno camminano per parecchi chilometri. È una strada che non ha indicazioni. Seguono prima un fiume in secca, poi un altro che sanno andare verso est. Hanno fatto delle soste, si son fatti il tè alla moda sahrawi, bevendolo nei bicchierini, tre volte e con molta schiuma.
Prima di sera incrociano sulla loro strada una iguana. Combinata con il fuoco si è trasformata in un ottima cena.
Il giorno successivo Salek e Jaha devono stare molto attenti. Di giorno non è più prudente muoversi. Di notte sono le stelle ad indicare la via. Il muro oramai non è molto lontano e, prossimo allo stesso, si sa, ci sono i militari e quelli non fanno molti complimenti. Di lì a poco, infatti, si scoprono a pochi metri da un gruppo di soldati. Per un tempo che era sembrato infinito sono rimasti fermi immobili, nascosti, in attesa. Fortunatamente non sono visti.
Ora c’è da oltrepassare il muro, non è facile. Bisogna trovare un punto in cui il muro non sia troppo alto tenendo conto che ogni 1500 metri c’è un presidio militare. Le piogge estive vengono ora in soccorso. Le acque che si sono raccolte lungo il corso del fiume con il loro scorrere, forse, non hanno trovato difficoltà ad aprire un pertugio nel muro fatto di sabbia impastata con pietre e pietrisco. La stessa acqua avrà poi liberato un passaggio nel campo minato. Salek e Jaha si sono preparati per questo viaggio, hanno studiato il territorio, trovato le informazioni fondamentali, quelle che possono garantire il successo del loro progetto.
L’emozione in questo momento è al punto più alto e con molte sfumature. C’è senz’altro la paura di essere visti dai militari e, una volta superati questi, il rischio di saltare su una mina. Salek e Jaha non sono i primi a provare questa strada, altri giovani hanno tentato, anche nella scorsa estate. Non sono mai arrivati e non sono neppure tornati indietro. Cominciano anche sentire l’odore della libertà, delle nuove opportunità.
C’è da pensare e fare una cosa alla volta. Il muro. Nella notte buia il muro si disegna in fronte a loro come una linea ancora più scura del cielo nero. Riescono a trovare un punto dove il muro si lascia facilmente scavalcare. Ora sono per la prima volta “al di là” l’emozione è forte ma bisogna fare ancora molta attenzione, i soldati sono ancora vicinissimi, proprio dietro di loro. E davanti… filo spinato e il campo minato. Sanno riconoscere il letto del fiume secco e ancora una volta l’acqua ha mondato una striscia di terreno dalla barbarica peste delle mine liberando una via per l’ampio deserto libero e per uscire dal dramma. Ora sono entrati nei territori che i sahrawi chiamato liberati. Una fascia di deserto lungo il confine ovest del Sahara Occidentale.
Il più è fatto, davanti a loro ancora molti chilometri di deserto, la notte è fa freddo ma finalmente possono riposarsi.
Al mattino il tè è la loro unica colazione prima di ripartire.
Incontrano delle orme di cammello. Quest’anno, grazie alle piogge, molti pastori si sono portati in queste zone. Molte persone hanno lasciato i campi profughi per venire qui con qualche cammello e le poche capre. Camminano per l’intero giorno. Ancora un altro giorno e incontrano una famiglia di nomadi. Sono appena arrivati e li aiutano a montare la tenda. Poi insieme devono il tè e il buono e ricco latte di cammella.
La famiglia riesce a informare la caserma dei militari sahrawi. Salek e Jaha da protagonisti carichi di orgoglio e felicità per l’impresa ben riuscita arrivano a Tifariti liberata accolti da veri eroi dal Fronte Polisario . Qui si fermano qualche giorno. Dopo un altro lungo viaggio ma questa volta con i fuoristrada, arrivano nei campi profughi nei pressi di Tinduf. In ogni luogo raccontano la storia della loro avventura. Rimangono i progetti futuri. Salek vuole finire rapidamente gli studi e diventare militare per difendere e liberare il suo Sahara Occidentale. Jaha vuole anche lui studiare, imparare bene la matematica e poi diventare insegnante.
Si sa, i Sahrawi non vogliono rivoluzionari ignoranti.

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